Plaza Hotel. Ora.
Pochi istanti prima Steve Rogers e la sua squadra erano penetrati in
questa lussuosa suite alla ricerca del Soldato
d’Inverno, seguendo la traccia della cimice che l’ex Capitan America era
riuscito ad attaccargli durante il loro precedente scontro, ma erano caduti in
una trappola. Nella stanza aleggiava ancora il gas usato per tramortirli, per
questo motivo gli uomini che entrarono dalla porta sfondata indossavano una
maschera antigas.
<Sono tutti stesi?> chiese uno di loro.
<Si. Questo biondo è grosso, datemi una mano a sollevarlo.>
<Avverto il capo che l’operazione è andata a buon fine.> replicò
il primo, quindi tirò fuori il cellulare e attivò la chiamata:
<Signore, li abbiamo presi. L’operazione è stata un successo. Li
stiamo caricando sul furgone.>
<<Bene. Portateli al laboratorio, come stabilito.>> disse la
voce dall’altra parte del telefono.
<Ricevuto.> rispose l’uomo.
DOSSIER: SOLDATO D’INVERNO
(PARTE TERZA)
NELLA TANA DEL LUPO
di
Carlo Monni & Carmelo Mobilia
Villa di Aleksandr
Vassilievitch Lukin. Brighton Beach, Brooklyn.
Finora era andato tutto secondo i piani, pensò Lukin, certo c’era ancora
la possibilità che qualcosa andasse storto, ma non poteva non essere
soddisfatto: l’uomo che aveva fatto fallire alcune sue delicate operazioni era
ora nelle sue mani e non era cosa da poco, considerato che aveva scoperto che
in realtà era l’originale Capitan America creduto morto. Lukin si era fatto
mandare le scansioni dei volti dei volti dei prigionieri ed esaminandoli aveva
avuto delle interessanti sorprese. Una
delle donne era Sharon Carter, una delle migliori agenti dello S.H.I.E.L.D. che
è stata per breve tempo Direttore di quell’organizzazione quando Nick Fury era
stato dato per morto tempo addietro[1]
ed ha anche avuto una relazione con Capitan America. Ha senso che lo affianchi adesso.
L’altra donna era nientemeno che Yelena Belova, la nuova Vedova Nera che i suoi
vecchi amici del G.R.U. avevano mandato in campo da qualche anno. Era
l’orgoglio di Yuri Stalyenko ma non aveva esitato a mettersi contro di lui
quando aveva scoperto i suoi piani.[2]
A quanto pare il Governo Russo ne ha ceduto i servizi agli americani. Non si
aspettava una mossa simile dal Presidente Russo, chissà che spera di
guadagnarci? Degli altri gli importa poco: sa già che il secondo uomo è in
realtà Jack Monroe, il Bucky degli Anni 50 ed attuale Nomad ed il misterioso
comandante è un mistero assoluto: non c’è nulla su di lui. Un vero mistero,
oltre al fatto che era Capitan America non sa niente di lui, ma in fondo che
importanza ha il suo nome? Eppure gli sarebbe piaciuto saperlo. Poco male: quando la Snyder l’avrà sottoposto
al lavaggio del cervello, sarà lui stesso a dirgli tutto ciò che vuole, sapere.
Lukin si concesse un sorriso. Era il momento di recitare la sua parte
nel piccolo dramma che ha messo in piedi.
Premette un pulsante ed una parete scivolò rivelando una sorta di
armadio dove si trovavano una tuta verde, un mantello rosso ed una maschera
anch’essa rossa a forma di teschio.
In una base segreta.
La Snyder era eccitata all’idea di quanto stavano per fare. Il piano di
Alek stava per avere successo. Quello sì che era un uomo brillante, in grado di
ottenere ciò che voleva, pensò dentro di se, quando portarono nel suo
laboratorio la sua splendida cavia: un esemplare perfettamente sano di
supersoldato.
<Toglietegli la cintura e stendetelo sul tavolino.>
<Cosa ne facciamo degli altri?> domandò uno degli scagnozzi.
<Legateli e chiudeteli in una stanza. Ci preoccuperemo di loro quando
arriverà il capo.>
Obbedendo all’ordine l’uomo abbandonò il laboratorio lasciando la donna
sola con i suoi assistenti.
<D’accordo signori, cominciamo la registrazione. “Il soggetto, un maschio bianco dell’età
apparente di 30/35 anni, in perfette condizioni fisiche è …>
<SVEGLIO!> disse Steve riaprendo gli occhi e stendendo con un
calcio l’assistente che stava per iniettargli qualche strana sostanza. Scese
rapidamente dal tavolo di metallo e con una sequenza di colpi mandò K.O. anche
gli altri. Afferrò la dottoressa Snyder per un polso, mentre questa cercava di
scappare.
<Il Soldato d’Inverno. Dov’è?>
<N-Non lo so.>
<Chi siete voi. Per chi lavori?>
<Fottiti. Io non ti dirò nulla.>
<Ti conviene non farmi arrabbiare bella, se non vuoi che ti spezzi il
polso.>
<Non m’incanti con i tuoi bluff. Tutti sanno che non oseresti mai
fare una cosa del genere ad una donna … CAPITANO.>
Lo sapeva. Questa donna sapeva il suo segreto. Un sviluppo inaspettato.
Steve le indicò un macchinario alle loro spalle, molto simile ad una macchina
per le risonanze magnetiche.
<È quella, vero? È con quella che gli riprogrammate la memoria,
giusto?>
La dottoressa non rispose ma il linguaggio del corpo la tradì,
rivelandogli la verità. Steve le premette un nervo sul collo e la donna perse i
sensi, crollando a terra. Poi si avvicinò alla macchina, attivò il suo scudo
energetico e con quello con quello la colpì, mandandola in frantumi. Si riprese
la propria attrezzatura, poi affacciò nel corridoio e vedendo che non c’era
nessuno, uscì andando alla ricerca dei compagni. Pur avendo trascorso gran
parte della sua vita adulta indossando un variopinto costume a stelle e
strisce, Steve sapeva come muoversi senza essere visto. Avanzò silenziosamente
fino ad arrivare nel sotterraneo, dove due uomini davanti stavano di guardia
davanti ad una porta. Steve estrasse dalla fondina una delle sue pistole a
dardi stordenti e gli sparò colpendoli al collo. In pochi secondi i due caddero
in terra a pelle d’orso. La porta si apriva con un badge. Perquisendo i due non
trovò nulla. Ma la porta non rappresentava un grosso problema per il
supersoldato, e con una spallata la aprì, facendo saltare la serratura.
<Sharon … Sharon, svegliati!>
<Uuuh … m-ma cosa … dove siamo?>
<Nella base del nemico. È qui che tengono Bucky.>
<Come hai fatto a …>
<Filtri nasali. Fanno parte del mio equipaggiamento. Sono riuscito ad
estrarli dalla cintura prima che il gas si propagasse. Ora dammi una mano a
svegliare Jack ed Yelena.>
Slegarono i compagni, li risvegliarono e li ragguagliarono sul punto
della missione.
<Va bene, squadra.> disse Steve <Pensavano di averci in pugno,
ma ora tocca a noi prendere l’iniziativa. Non ce ne andremo senza aver risolto
la faccenda una volta per tutte. Non sappiamo bene dove siamo e com’è fatto
questo posto, quindi ci divideremo: io penserò a questo piano, Sharon, tu e la
Vedova pattuglierete il piano di sopra, Nomad ti occuperai del sotterraneo. Chi
dovesse imbattersi in Bucky dovrà avvisare gli altri e tentare di
neutralizzarlo per portarlo fuori di qui . Vi ricordo per l’ennesima volta che
è vietato l’uso della forza letale. Buona fortuna.>
Mentre Steve stava parlando, Yelena Belova aveva ritrovato i suoi
bracciali e se li stava fissando ai polsi controllando che il congegno che
sparava i suoi “Morsi di Vedova” fosse in piena efficienza.
<Per quanto riguarda il Soldato d’Inverno farò come dici,
Comandante…> replicò <… ma se qualcun’altro cercherà di uccidermi non
starò ferma a lasciarglielo fare.>
Steve scambiò un’occhiata d’intesa con Sharon e la donna capì senza
bisogno di parole. Doveva tener d’occhio la giovane russa per evitare che il
suo temperamento la mettesse in guai peggiori di quelli in cui già erano.
Dopo che tutti furono andati via, Steve rimase per un attimo a darsi
un’occhiata intorno, poi si incamminò nel corridoio. Con un po’ di fortuna non
solo avrebbe trovato Bucky, ma anche il responsabile di tutta questa faccenda,
chiunque fosse.
Al piano di sopra, nel
laboratorio, in quello stesso momento.
Indossando i panni del Teschio Rosso, Lukin, accompagnato dal suo fedele
braccio destro Leon, attraversava il corridoio che portava al laboratorio con
una certa impazienza: non capitava certo tutti i giorni che un piano elaborato
e ambizioso quanto il suo potesse riuscire così bene. Quel senso di eccitazione
svanì nel momento in cui aprì le porte automatiche e vide l’intera equipe
scientifica stesa a terra priva di sensi.
<DA L’ALLARME E CHIAMA IL RESTO DELLA SQUADRA!> gridò
immediatamente. Leon eseguì immediatamente, poi si rivolse al suo amico:
<Alek…>
<Non chiamarmi così quando indosso questo costume.> ribatté Lukin
<E so cosa volevi dirmi: che me l’avevi detto che qualcosa poteva andare
storto. Non è il momento di recriminare
questo, ma di agire. Tu ora vattene: se le cose dovessero andare davvero storte
tu devi restare libero.>
<E tu?>
<Non è mia abitudine scappare davanti al nemico e non lo farò se non
sarò costretto.> Il “Teschio Rosso” impugnò una pistola di foggia strana
<Questa mi aiuterà.>
In varie parti della base,
più o meno in quello stesso momento.
C’era un tempo in cui erano gli agenti fidati di un uomo che si faceva
chiamare Teschio Rosso, ma a differenza dell’originale quello lavorava non per
l’ormai defunta Germania Nazista ma per l’Unioine Sovietica, un totalitarismo
differente, ma pur sempre un totalitarismo.
Quel tempo è passato da tanto ormai, ma loro sono ancora lì, vivi ed in
gamba. Non si sono fatti domande, hanno accettato la cosa come se fosse
naturale ed allo stesso modo hanno accettato di obbedire all’uomo con la
maschera da Teschio Rosso ed il simbolo della falce e martello sul petto. Ora
erano di nuovo stati chiamati a dimostrargli la loro fedeltà.
In una specie di ufficio.
Il Teschio Rosso era in compagnia di un impaziente Soldato d’Inverno.
<Dovrei andare anch’io a cercare i fuggiaschi, signore.> disse.
<Non sarà necessario. Tu mi servi qui.> replicò Lukin.
<Come ordina, signore, ma se i prigionieri riescono a fuggire…>
<Non fuggiranno, credimi. Lui è esattamente dove vuole essere e non
se ne andrà senza avere ottenuto quello che vuole.>
<Lui? Intende dire…?>
<Il comandante di questa task force, certo.>
<Lui dice di conoscermi, ma io non lo ricordo. C’è qualcosa di vero
in quello che dice?>
<Questo non deve interessarti, preparati solo alla lotta quando sarà
il tuo turno.>
Il Soldato d’Inverno tacque e Lukin prese a riflettere sulle bizzarrie
del destino. Cosa sarebbe accaduto se e quando l’originale Capitan America e
l’originale Bucky si fossero incontrati ancora? Al generale Karpov sarebbe
piaciuta l’ironia di questa faccenda?
Da qualche parte in Unione
Sovietica. Maggio 1945.
Il capo dell’equipe medica era decisamente perplesso. In nome di Lenin,
cosa si aspettavano che facesse? Era un medico non uno stregone e non poteva
rianimare i morti. Il ragazzo era stato fortunato, se così si poteva dire: il
freddo estremo dell’acqua aveva cauterizzato la ferita prodottasi quando
l’esplosione in cui era stato coinvolto gli aveva staccato il braccio sinistro,
ma era stato troppo tempo in acqua, come poteva essere sopravvissuto?
A quanto pare, il generale Karpov era riuscito ad ottenere che il corpo
fosse portato fin lì dopo essere stato congelato. Il generale sembrava convinto
che nel sangue del ragazzo ci potesse essere la mitica formula dl supersoldato
che aveva creato Capitan America, lo stesso Capitan America ucciso
dall’esplosione che aveva mutilato il suo aiutante ed era deciso a recuperarla
a tutti i costi. Avere un campione del sangue del giovanotto steso davanti a
lui non era affatto difficile, ma era tutto quello che si poteva fare.
<Mi scusi compagno…> gli si rivolse un giovane assistente
strappandolo alle sue riflessioni <Ha detto che lo hanno ripescato
praticamente congelato e lo hanno portato qui sotto ghiaccio?>
<Si, perché?>
<Il congelamento ha rallentato sicuramente il suo metabolismo.
Potremmo trattarlo come se fossero passati pochi minuti e tentare una
rianimazione.>
Il capo medico stava per ribattere, poi ci ripensò.
<Beh… è un’idea migliore di tante altre e non ci perdiamo niente a
provarci. Su, diamoci da fare.>
L’equipe medica si prodigò nel tentativo di rianimazione usando tutti i
sistemi conosciuti e qualche improvvisazione. Per lunghi minuti non accadde
nulla, poi uno degli occhi del giovane sul tavolo sbatté reagendo alla luce che
lo colpiva.
<Ce l’abbiamo fatta… è vivo.>
Nei corridoi del
sotterraneo.
Si chiamava James “Jack” Monroe ed aveva poco più di 70 anni, anche se
ne dimostrava quasi 50 di meno. Merito, se così si può dire, di decenni passati
in animazione sospesa che gli avevano impedito di invecchiare. C’erano giorni
in cui si chiedeva se questa fosse stata una benedizione per lui: aveva dovuto
adattarsi ad un mondo profondamente diverso da quello che ricordava ed aveva
passato molto tempo a combattere con crolli psicotici che lo avevano portato su
sentieri di cui ora aveva orrore. Gli avevano detto che era guarito, che le
sedute terapeutiche e le medicine stavano tenendo sotto controllo i suoi
demoni, ma lui sentiva quella vocina nel retro della sua testa che gli diceva
che si stava illudendo, che un giorno avrebbe perso il controllo e distrutto la
sua vita e quella di coloro a cui teneva.
Avrebbe voluto che tacesse, ma temeva che avesse ragione.
Il suo nome era Electro ed un tempo era un essere umano, o almeno questo
è quello che dicevano i suoi file, ma lui non era affatto sicuro che fosse così.
Come poteva dirsi umano quando avrebbe dovuto essere morto da anni? Che essere
umano era quello a cui bastava una carica elettrica per ritornare in vita e che
senza ricaricarsi costantemente sarebbe morto di nuovo? Non voleva farsi queste
domande, non voleva risposte, ne aveva paura: voleva solo agire.
A volte basta solo girare un angolo e le cose possono cambiare. Per
Nomad ed Electro girare un angolo da lati opposti significò trovarsi faccia a
faccia.
<Tu!> esclamò Electro <Era destino che toccasse a me schiacciarti…
Bucky.>
<Calmati amico…> replicò Nomad saltando indietro in tempo per
evitare una scarica elettrica emessa dalle dita del suo nemico <… parli al
tipo sbagliato, io mi chiamo Nomad.>
<Non m’inganni, lo so che sei il Bucky che ho
affrontato nel 1954. Avrei dovuto ucciderti allora e rimedierò adesso.>
<E chi ti dice che avrai miglior fortuna scintillone?> ribatté
Jack continuando a saltare per evitare il suo nemico. A quanto pare, trovarsi
di fronte al suo vecchio nemico sembrava far rivivere i suoi modi e slang dei
tempi in cui era Bucky. Chissà cosa ne avrebbe pensato la sua psicanalista
Andrea Sterman? Glielo avrebbe chiesto… se fosse riuscito a sopravvivere.
Due piani più sopra.
Sharon Carter e Yelena Belova uscirono dall’ascensore e si guardarono
intorno.
<Tu vai a sinistra ed io a destra.> disse Sharon <Una volta
controllato il piano ci ritroviamo qui.>
<Chi ha detto che sei tu a comandare?> ribatté Yelena con voce
seccata.
<Lo dico io, ragazzina e per adesso ti deve bastare. Se hai voglia di
discuterne, lo faremo quando saremo fuori di qui.>
La Vedova Nera lanciò a Sharon un’occhiata di fuoco, ma non replicò e
prese la strada indicata.
Sharon sospirò: la giovane russa era in gamba, ma doveva imparare a
tenere a freno il suo temperamento. Ne avrebbe dovuto parlare a Steve in
seguito, ma ora doveva concentrarsi sulla missione. Avrebbe preferito non dover
improvvisare, ma non c’era stata scelta, doveva ballare alla musica imposta dal
loro misterioso avversario, uno che sapeva di loro molto più di quanto loro
sapessero di lui.
Fu probabilmente un sesto senso affinato da anni come agente sul campo
ad avvisarla del pericolo imminente e le permise di evitare qualcosa che le
passò sopra la testa mancandola per un soffio. Per quanto potesse sembrare
strano perfino in un mondo popolato da superumani, si trattava di un cappello
del tipo Borsalino, che andò a conficcarsi in un muro aprendovi un largo
squarcio. Apparteneva ad un uomo di mezza età vestito con elegantissimo gessato
scuro con un garofano all’occhiello e su cui indossava un cappotto di cammello.
Nella mano destra impugnava un bastone da passeggio con pomo in avorio.
<Un cappello con lama incorporata?> commentò Sharon sfoderando la
sua pistola <Hai visto troppe volte Goldfinger, vecchio.>
<O forse sono gli autori di quel film ad essersi ispirati a me.>
ribatté l’uomo con la massima tranquillità <Io sono Finisher, il risolutore
di problemi del Teschio Rosso.>
<E dal tuo nome capisco anche come li risolvi… beh io non sono
disponibile ad essere “finita” da te, quindi non fare movimenti bruschi e sta
buono e con le mani alzate.>
<Vuoi dire così?>
Finisher alzò il bastone dalla cui punta partì un colpo che strappò di
mano la pistola a Sharon.
La sorpresa rallentò i riflessi della donna quanto bastava perché
Finisher le sferrasse un colpo all’addome con lo stesso bastone lasciandola
senza fiato.
Mentre Sharon era piegata in due, dal polso destro di Finisher scattò
una corta lama che l’uomo si apprestò a calare sul collo della giovane agente.
Sede dell’F.B.S.A.
(Federal Bureau of Superhuman Affairs), Quartiere di
Georgetown, Washington D.C.
Normalmente psichiatri e psicanalisti non attirano molta attenzione su di
se, ma la dottoressa Andrea Sterman era diversa. Naturalmente questo poteva
aver a che fare con la sua predilezione per le camicette attillate e le gonne
corte, ma lei avrebbe respinto con sdegno questa insinuazione. A onor del vero
bisogna ammettere che gli occhiali le conferivano almeno una certa aria
professorale, nei limiti del possibile almeno.
Quel giorno stava percorrendo di gran carriera uno dei corridoi del
palazzo del F.B.S.A. diretta all’ufficio del Vice Direttore Operativo Jack
Norriss dove entrò senza darsi nemmeno la pena di bussare.
<Jack, sai dirmi dov’è finito
Nomad?> chiese senza tanti preamboli.
<Ciao Andrea, anch’io sono contento di vederti dopo tanto tempo.>
replicò Norriss ostentando calma <Ti trovo in gran forma.>
<lascia stare i convenevoli e dimmi dove è andato a cacciarsi Jack
Monroe. Ha saltato la sua seduta settimanale senza spiegazioni.>
<Non so dirti molto… a parte che è stato distaccato da qualche parte
per ordine diretto di Sitwell,[3]
ma non conosco i particolari. Sospetto ci sia di mezzo lo S.H.I.E.L.D.[4]>
<Cosa? È già le seconda volta in poche settimane.[5]
Solo perché era il cocco di Nick Fury, Sitwell non può permettergli di
interferire continuamente con…>
<Calmati Andrea, dalla tua reazione si potrebbe pensare che il tuo
interesse in Jack Monroe non sia esclusivamente professionale.>
<Ma che dici? Io… io mi preoccupo solo del suo benessere psichico. Ne
ha passate così tante, poverino, e tu lo sai benissimo: c’eravamo entrambi
quando la sua vita è andata a rotoli per l’ennesima volta.[6]
Non voglio che tutto il lavoro che ho fatto e sto facendo per mantenerlo sano
vada sprecato. Allora, dov’è Sitwell? Vorrei dirgli due paroline.>
<Temo sia impossibile: è stato rapito da un pazzoide di nome Mida
mentre era a New York con la sua ragazza.[7]>
<Sitwell ha una ragazza?>
<Beh non è esattamente la sua ragazza, solo un’amica… ma che c’è di
strano? Solo perché sembra il Puffo Quattrocchi non vuol dire che non possa
avere una ragazza… ehm voglio dire…>
<Tranquillo, Jack, non sarò certo io a riferire certi commenti al tuo
direttore. Resta il fatto che vorrei proprio sapere che sta combinando Nomad in
questo momento.>
Base Segreta di Lukin,
sotterraneo, proprio in quel momento.
Se avesse saputo delle preoccupazioni di Andrea, forse Jack Monroe ne
sarebbe stato lusingato, in ogni caso, al momento aveva troppo da fare a
cercare di restare vivo mentre l’essere chiamato Electro stava cercando di
folgorarlo. È vero che i due s’erano battuti diverse volte nei ’50, ma sempre
in coppia con Cap … il “suo” Cap. Era la prima volta che Jack lo affrontava da
solo, e per di più senza uno scudo. Una situazione a dir poco svantaggiosa.
Electro dal canto suo contava proprio su questo vantaggio, pregustando giù un
trionfo sul quello che forse il suo più vecchio nemico.
<Non puoi evitarmi per sempre Bucky. Più passa il tempo, più tu ti
stanchi e io accumulo potenza. È
questione di momenti e sarai mio. >
Aveva ragione. Non poteva continuare così a lungo. Doveva passare al
contrattacco. Pensò ai consigli sul come affrontare i metaumani, che Steve gli
aveva dato durante il periodo in cui lo aveva affiancato appena dopo il suo
risveglio:
“Lo spazio e l’ambiente sono
le tue armi. Loro si affidano solo ai loro poteri. Cerca di valutare
rapidamente il campo di battaglia e cerca di trovare una situazione che ti sia
vantaggiosa”.
Più facile a dirsi che a farsi, specie in uno spazio ristretto come
quello in cui si stavano scontrando. Stava iniziando a scoraggiarsi quando i
suoi occhi notarono qualcosa d’interessante.
<Si, può funzionare> pensò tra se e se. Compì un balzo
all’indietro, mettendo ulteriore distanza tra lui e l’androide (o qualunque
cosa Electro fosse) e si mise a fuggire lungo il corridoio.
<Fuggire è inutile ragazzo. Ormai sei mio!>
Jack era con le spalle al muro. Ormai
sembrava spacciato. Electro accumulava energia che crepitava attorno al suo
corpo, e stava per emettere la sua folgore più potente. Nomad estrasse dalla
sua cintura una capsula fumogena e la scagliò verso il suo avversario.
<È inutile, questo fumo non può proteggerti a lungo.
Non appena si sarà diradato io …>
Il fumo attivò il sistema antincendio, e
uno scroscio d’acqua investì Electro proprio mentre era all’apice quella sua carica
elettrodinamica. Jack si appese ad uno dei tubi sul soffitto, evitando di
venire investito dalla corrente elettrica che percorreva il pavimento bagnato.
<<AAAAAAAAAAAAAAAAAAH! *>>
Andò in corto circuito cadendo come un pupazzo quando esaurisce la
carica delle batterie.
<Giuro che non dubiterò mai più di te, Steve …>
Piano superiore
Yelena Belova si stava muovendo con circospezione, quando qualcosa di
freddo si posò sulla sua nuca, qualcosa che riconobbe come la canna di una
pistola.
<Bene, bene… tu saresti quella che si fa chiamare Vedova Nera.>
una voce di donna che parlava un ottimo Russo con appena un’ombra di accento di
San Pietroburgo.
<L’Esecutrice.> ribatté Yelena <Eri una leggenda nella nostra
comunità. Così ligia al tuo dovere da giustiziarti da sola per aver fallito.
Non sembri poi così morta.>
<Tu, invece, sei solo una ragazzina che gioca ad un gioco da grandi e
per questo ci rimetterai la vita.>
Yelena si mosse rapidamente e voltandosi disarmò la donna costringendola
ad indietreggiare.
<Sarai stata una brava spia, ma io sono stata addestrata per essere
la migliore nel combattimento. Le tue qualità sono altre e con me non
servono.>
<Non dovresti sottovalutare una maestra assassina.> sibilò Lupa
Lupoff sfoderando uno stiletto che tentò di affondare nel petto di Yelena, che
però era troppo veloce per lei.
<È più facile quando sono a letto, nudi e ubriachi, vero
sgualdrina?>
<Zitta!> disse lei, stizzita non tanto per le sue parole quanto
dalla sua rapidità che le impediva di affondare i colpi. La Vedova conosceva
bene la sua avversaria, aveva studiato bene il fascicolo che la riguardava, in
Russia. Lei era una combattente decisamente superiore, ma quella lama era
sicuramente intrisa di qualche letale veleno; anche una sola ferita
superficiale poteva esserle fatale. Doveva chiuderla in fretta. All’ennesimo
fendente dell’Esecutrice Yelena si
spostò e le afferrò il polso facendole perdere l’equilibrio, per poi colpirla
al collo col taglio della mano
abbattendola.
<Non dovresti sottovalutare una Vedova Nera.> proclamò
soddisfatta.
Altrove
L’uomo, se tale era, stava trafficando con vari strumenti per poi
fermarsi ad ammirare la sua opera con evidente soddisfazione.
<Magnifico… se posso dirmelo da solo. > disse ad alta voce
<Questo modello è migliore dei precedenti, ancor più indistinguibile da un
vero essere umano. Sono quasi invidioso, devo dire.>
L’uomo si concesse un sorrisetto. Altri avrebbero avuto presto poco da
ridere, ma questo non lo riguardava dopotutto.
Base Segreta di Lukin.
Piano Superiore.
Sharon riuscì a stento ad evitare il colpo che l’avrebbe sgozzata e rotolò
lontano da Finisher il quale non perse tempo e sparò un altro colpo col suo
bastone speciale… mancando di poco il bersaglio. Sharon si rese conto che non
poteva continuare ad evitarlo all’infinito: doveva contrattaccare. Riuscì a
raggiungere la pistola che aveva perso poco prima e sparò senza quasi guardare.
Il colpo prese il bastone animato di Finisher facendoglielo saltare di mano.
<Non muoverti mister…> intimò la ragazza <… o col prossimo
colpo ti faccio schizzare il cervello sino al soffitto.>
<Che brutte parole in bocca ad una così leggiadra fanciulla.>
disse Finisher senza perdere apparentemente la sua imperturbabilità <Cedo
alla violenza.>
Nell’alzare le mani sfiorò il garofano all’occhiello della sua giacca e
dal fiore partì una scarica di gas che sollevò anche una nuvola di fumo.
Colta di sorpresa Sharon tossì mentre i filtri nasali di cui si era
munita la proteggevano dagli effetti più deleteri del gas, poi quando il fumo
si dissipò si accorse che Finisher era sparito. Un trucco degno di un illusionista.
Non poté non sentirsi frustrata.
Al piano immediatamente inferiore.
Steve Rogers si muoveva con circospezione. Un istinto affinato in anni di battaglie gli consigliava la massima attenzione. I suoi nemici erano infidi, lo sapeva bene. Ironico che, come lui, fossero tutto sommato relitti di un’epoca precedente. Senza quel maledetto aereo e l’intervento di Zemo forse sarebbero stati lui e Bucky ad affrontarli negli anni 50. Quante cose sarebbero state diverse in quel caso? L’uomo conosciuto come Steve Rogers II e Jack Monroe non sarebbero mai diventati i nuovi Capitan America e Bucky e non sarebbero impazziti per gli effetti del siero del supersoldato. Quante vite sarebbero cambiate se quel fatale giorno del 1945 le cose fossero andate diversamente? Dove sarebbe lui ora? E Bucky? Per anni si era macerato nel senso di colpa per averlo condotto alla morte ed ora che sapeva che era ancora vivo aveva una concreta possibilità di salvarlo e non se la sarebbe lasciata sfuggire.
Nello studio del Teschio Rosso Anni 50
Sotto la maschera del Teschio Rosso Aleksandr Lukin stava seguendo il cammino di Steve grazie a telecamere nascoste. Doveva ammetterlo: quell’uomo era stato davvero abile a rivolgere a suo vantaggio una situazione inizialmente sfavorevole. Lo aveva sottovalutato, un errore che non avrebbe ripetuto. Ora che aveva modo di osservarlo bene si rese conto che era effettivamente l’uomo che aveva conosciuto a Montecarlo col nome di Nathan Hale. Aveva immaginato che il nome fosse falso, ma mai avrebbe pensato che dietro di esso si nascondesse l’originale Capitan America. Quali che fossero i motivi che lo avevano spinto a fingere la propria morte non interessavano a Lukin, ma l’idea che fosse tornato in azione per dargli la caccia era in qualche modo esaltante. Quando aveva fatto rivivere il cosiddetto Teschio Rosso Anni 50 lo aveva fatto per creare uno schermo tra le sue attività legittime ed i suoi veri piani: un’identità segreta come i cosiddetti supereroi, in questo modo nessuno avrebbe potuto tradirlo. Il gioco stava rischiando di rivoltarglisi contro, per quanto… cosa c’era di più appropriato del Teschio Rosso contro Capitan America?
Senza indugiare parlò ad un microfono.
<Madame X… tu e Sandor pensate a… al Super Soldato.>
Si rese conto ancora una volta che non sapeva nemmeno il suo vero nome, ma era un dettaglio trascurabile: avrebbe avuto modo di scoprirlo con calma in seguito. Si rivolse al Soldato d’Inverno:
<Tienti pronto: tu sei la mia arma segreta, la mia ultima risorsa se quei due falliranno.>
<Farò quel che devo, signore.> rispose l’altro senza mostrare apparenti emozioni
Non ne dubito, pensò Lukin sogghignando, purtroppo per te non hai altra scelta e non puoi nemmeno gustarti l’ironia del fatto che l’originale Bucky potrebbe uccidere l’originale capitan America, il che sarebbe un vero peccato, ma è così che vanno le cose in guerra purtroppo.
Nel corridoio.
Che aprire una porta potesse essere pericoloso Steve Rogers lo sapeva da sempre. Aveva perso il conto di trabocchetti e pericoli vari che lo avevano atteso dietro i più vari tipi di soglia, anche questa volta non fu un’eccezione. Una sottile ma robusta corda si serrò improvvisamente intorno al suo collo: stavano cercando di garrottarlo. Il suo assalitore aveva fatto i conti senza le capacità di Steve che lo fece volare sopra la sua testa per accorgersi solo allora che era una donna: la misteriosa assassina nota solo come Madame X. La cosa lo fece esitare: combattere contro le donne lo metteva sempre a disagio, peccato che le sue avversarie non gli ricambiassero mai la cortesia.
<Uccidilo Sandor!>
Alle sue spalle un uomo di alta statura e massiccio cercò di afferrare Steve che lo evitò per un pelo. Sandor la guardia del corpo del fu Albert Malik ed ora di chiunque fosse sotto la maschera del Teschio Rosso degli Anni 50. Una specie di montagna in forma umana quasi del tutto impervia ai colpi di un normale essere umano o di uno nelle cui vene scorre il siero del supersoldato. Quando si erano incontrati l’ultima volta[8] aveva quasi battuto lui e Nomad.
Sandor era potente, ma era goffo e lento. Il colosso cercò inutilmente di piazzare qualche colpo, ma il supersoldato era un bersaglio troppo sfuggevole.
<Muoviti, bestione! E’ possibile che non riesci a prenderlo?>
Sandor non rispose, per quel che ne sapevano i presenti poteva anche essere muto, ma cercò di afferrare Steve ancora una volta. Dentro di se era frustrato: quel dannato non stava mai fermo … era come una dannata cavalletta!
Steve Rogers sapeva di non doversi guardare solo dal suo grosso assalitore, ma anche da Madame X, che attendeva il momento in cui avrebbe abbassato la guarda per piazzare un colpo a sorpresa letale. Rifletté un attimo poi decise di correre un rischio: fece avvicinare Sandor, poi estrasse di scatto la sua pistola a dardi stordenti dalla fondina e gli sparò un colpo alla base del collo. Sandor rimase fermo, poi barcollò ed infine cadde contro una porta sfondandola.
Steve si voltò verso la donna, pronto a difendersi da un suo attacco quando dal varco creato da Sandor fece la sua apparizione il Teschio Rosso.
Per la prima volta da quando tutta questa storia era cominciata Steve Rogers si trovò faccia a faccia con lui, la mente criminale dietro l’intera operazione.
<TU!> esclamò Steve <hai molto di cui rispondere.>
<Non questa volta.> replicò l’altro ed estrasse la sua strana pistola, da cui partì un raggio azzurrognolo.
Steve fece appena in tempo ad attivare il suo scudo d’energia deviando il colpo.
Riconobbe immediatamente quell’arma: il raggio disintegratore che il Barone Zemo, il padre dell’attuale, aveva inventato decenni prima. Non credeva di doverci aver a che fare ancora una volta.
Il Teschio continuava a sparare.
<Vediamo chi la spunterà: il mio raggio od il tuo campo di forza. A proposito…. appropriato che sia a forma di scudo.>
Steve era troppo occupato a difendersi per accorgersi che alle sue spalle Madame X stava per pugnalarlo. Per sua fortuna, qualcuno intervenne per fermarla: Sharon Carter era arrivata giusto in tempo, e non solo lei. L’intera squadra si era riunita giusto in tempo.
<Mi dispiace, signori, ma siete troppi per i miei gusti…> disse Lukin <… riprenderemo il discorso un’altra volta.>
Si avvicinò ad una parete e premette un bottone nascosto rivelando un’apertura in cui si infilò rapidamente.
<Io lo seguo.> urlò Steve, saltando nell’apertura un attimo prima che si chiudesse alle sue spalle.
<Fa sempre così?> chiese la Vedova Nera.
<Anche di più.> rispose Sharon.
<Signore…> intervenne Nomad <… che ne dite di chiacchierare meno e trovare il meccanismo di apertura di quel passaggio segreto? Magari al nostro capo non farà male un po’ d’aiuto.>
Steve Rogers inseguiva il Teschio Rosso lungo l’ampio corridoio che portava all’uscita. Il Teschio continuava a sparare alla cieca utilizzando ancora il raggio della morte, Steve si riparava dai colpi grazie al suo scudo energetico. Come si era procurato quell’arma quell’uomo? C’era Zemo, forse, sotto quella maschera? E se sì, perché? Non era la prima volta che quel bastardo utilizzava un’identità fasulla per trarre in inganno i nemici, come aveva fatto quella volta che si era spacciato per il supereroe“Citizen V”. Un raggio andò a colpire il soffitto facendone crollare una parte, separando i due uomini. Steve non poteva lasciarselo scappare, non ora che era così vicino: compiendo un grande balzò evito le macerie fiammeggianti e si rimise ad inseguirlo. Era più veloce e lo avrebbe raggiunto in pochi minuti, se non fosse che la sua acuta vista notò un puntino rosso ballare davanti a sé e la sua ancor più acuta mente intuì subito che si trattava di qualcuno che stava prendendo la mira con un mirino laser. Era semplice intuire chi fosse. Ruotò su se stesso e con lo scudo deviò i proiettili dell’arma. Il Teschio si allontanò fino a scomparire dalla visuale ma poco importava: l’obiettivo era lì davanti a se, e lui era ad un passo da compere la missione.
<È la terza volta che ci incontriamo. Non ce ne sarà una quarta.>
<Su questo siamo d’accordo, Bucky. Tu te ne torni con me.>
Steve lo caricò come un ariete, investendolo con il suo scudo, mossa che colse di sorpresa il Soldato d’Inverno e gli fece volare via di mano il fucile. Passò al contrattacco colpendo Steve dritto al mento con un gancio destro, poi, piazzandogli la pianta del piede sul petto, lo allontanò da se. Steve andò a sbattere contro la parete alle sue spalle. Si rialzò in piedi con un’acrobazia e i due cominciarono l’ennesimo combattimento. Il Soldato d’Inverno manteneva l’offensiva, aggredendolo e cercando un rapido KO, di contro Steve non si limitava ad una resistenza passiva, e quando la guardia del suo avversario si apriva piazzava i propri colpi.
Proprio come quella volta in Russia nessuno dei due sembrava prevalere, il duello era sostanzialmente in equilibrio, fino a che grazie ad pugno dato con il braccio bionico il Soldato d’Inverno sembrò riuscire ad avere la meglio sul suo avversario. Il colpo incassato fece barcollare il supersoldato americano, e il suo avversario approfittò del vantaggio colpendolo ancora e ancora. Steve cadde a terra, cosciente ma stordito. Sembrava fatta, ormai era sul punto di cedere definitivamente, il Soldato d’Inverno stava per avere la meglio su quello che era stato il miglior avversario da lui mai affrontato. Era sul punto di dargli il colpo di grazia quando con uno scatto improvviso Steve si rimise in piedi, gli afferrò il polso sinistro e poi lo atterrò mollandogli un destro al viso. Il Soldato d’Inverno fece un volo di parecchi metri.
<Tu … mi hai ingannato …> disse
<Come hai fatto tu quella volta in Siberia.> ribatté Steve con un mezzo sorriso.
Il Soldato d’Inverno cercò di rialzarsi in piedi, ma la mano bionica cominciò ad emettere scariche elettriche e poi all’improvviso il braccio divenne un peso morto e non rispose più ai comandi.
<Ma cos …>
<Ti ho piazzato addosso un chip che emette impulsi elettromagnetici. Il braccio sinistro è praticamente inutilizzabile. Scusami Buck, non amo giocare sporco, ma stavolta c’è troppo in palio …>
<Brutto figlio di …>
Steve iniziò a tempestarlo di colpi, specialmente al tronco, colpi che il Soldato non riusciva più a bloccare efficacemente, dato il suo nuovo handicap. Forse ci sarebbe riuscito se avesse avuto il tempo di reagire, ma Steve non glielo dette e così finì col venire atterrato.
Andò al tappeto, faccia a terra. Steve lo ammanettò, poi tirandosi in piedi rimase a fissarlo per quasi un minuto.
<Ce l’ho fatta… sei salvo, Buck …> disse con un sospiro di sollievo.
In quel momento arrivarono gli altri.
<Che mi venga…> esclamò Nomad <… ce l’hai fatta, l’hai preso.>
<Si, l’ho preso.> commentò Steve <Ma questo è solo l’inizio. Deve tornare ad essere il vero se stesso e lo aiuterò a qualunque costo.>
Circa tre ore dopo, in un luogo segreto sotto New York
Steve si era appena fatto una doccia e non aveva perso tempo a raggiungere la sala delle riunioni dove già lo stavano aspettando gli altri tre.
<Novità, Sharon?> chiese.
Sharon Carter , impeccabile nella sua uniforme bianca, rispose prontamente:
<Nulla di nuovo, temo: Il Teschio Rosso fasullo è scomparso e con lui anche l’Esecutrice. Electro è stato neutralizzato e gli altri sono sotto interrogatorio nell’Eliveicolo, compresa quella dottoressa che ti ha esaminato, ma gli specialisti dello S.H.I.E.L.D. dubitano di riuscire a cavare qualcosa da lei e dagli altri.>
<Non sono sorpreso.> commentò Steve <Nick Fury che dice?>
<Sono riuscita a parlargli solo per cinque minuti: stava partendo per non so quale missione.[9] Ha detto che tu sei il capo e che qualunque cosa deciderai di fare andrà bene anche a lui.>
<Uhm… dovrò ringraziarlo appena lo vedrò. E che ti ha detto per… Bucky?>
<Ho chiamato una psichiatra che conosco.> rispose Sharon <Una di cui mi fido. Credo che potrà aiutarci.>
<La Dottoressa Sterman?> intervenne Jack Monroe <Beh… è riuscita a rimettere in sesto me, ci riuscirà anche con Bucky Barnes.>
<Me le auguro.> commentò Steve.
<Bene…> intervenne Yelena <E ora che abbiamo assolto al nostro compito che facciamo?>
<Ansiosa di tornare a Mosca… compagna?> la stuzzicò Nomad.
<Mangiati la lingua yankee… In realtà sono lieta di aver potuto collaborare con te Comandante Rogers.>
<Ti ho detto di chiamarmi Steve, ricordi? Cosa fare, dici? Abbiamo lavorato bene insieme. Forse… forse potremmo fare ancora qualcos’altro di buono.>
<Come una sorta di Vendicatori Segreti, vuoi dire?> chiese Nomad.
<Cos’hai detto?> esclamò Steve
<Beh mi sembrava un nome appropriato. Certo non so se i Vendicatori approverebbero ma…>
<Ci… ci penserò su.>
Sharon notò la scintilla negli occhi di Steve e fu subito sicura di una cosa: poteva non essere più Capitan America, ma ormai non era più solo un professore di Storia. Ci sarebbero state altre avventure e lei sarebbe stata al suo fianco.
Villa Lukin,
Brighton Beach, Brooklyn. New York.
Era stato ad un passo dal trionfo. Un passo, dannazione. Ma il redivivo Capitan America era riuscito a mandare in fumo i suoi piani… un’altra volta. Era vero tutto quello che si diceva sul suo conto. Ecco perché nessuno dal ’40 ad oggi era riuscito a sconfiggerlo. Aveva catturato metà del suo staff e recuperato il Soldato d’Inverno, il suo miglior agente. C’era di che ammirarlo, inutile negarlo. Ma Lukin di sforzava di vedere il lato positivo.
Si accese un sigaro e si versò un bicchiere di Brandy.
<Non so come fai ad essere così tranquillo Alek> gli disse il suo braccio destro Leon <Eravamo ad un soffio dalla cattura, la Snyder è stata presa e lei sa troppe cose.>
<Lei non è un problema. Le ho cancellato dalla memoria la mia vera identità ieri sera, seguendo il consiglio di un vecchio amico> disse sorridendogli, alludendo alla discussione avuta qualche tempo prima[10] <Inoltre sono libero e il mio anonimato è al sicuro. Possiamo ancora rifarci.>
<Sei un’inguaribile ottimista Alek …>
<Piangersi addosso non servirebbe a molto, ti pare? E dalle sconfitte si possono imparare tante cose. La prossima volta che ci incontreremo con l’ex Capitano saremo preparati …> disse risoluto portandosi il bicchiere alle labbra.
FINE
NOTE
DEGLI AUTORI
Note
scarne ed essenziali questa volta focalizzate sugli avversari del nostro
piccolo gruppo di eroi.
1)
Il Teschio Rosso anni 50 compare tecnicamente
per la prima volta in Young Men #24 datato dicembre 1953. Perché dico
“tecnicamente? Perché l’esistenza di un Teschio Rosso Anni 50 distinto dal
Teschio Rosso tradizionale è una retcon operata da Steve Englehart (su
probabile suggerimento di Roy Thomas) nell’ormai classico Captain America #155
del novembre 1972. Dietro la maschera di questo Teschio Rosso al servizio
dell’Unione Sovietica si celava un certo Albert Malik, che ha anche il
discutibile ruolo di assassino dei genitori di Peter Parker (si, proprio quel
Peter Parker -_^). Malik fu fatto uccidere dal vero Teschio Rosso ed ora Lukin
si è impadronito di quell’alias.
2)
Lupa Lupoff alias L’esecutrice comparve
per la prima volta in Young Men #25 del febbraio 1954. A dispetto del suo nome
francamente ridicolo è una spia abile ed un’assassina esperta. Possiamo
considerarla come una sorta di precursore della Vedova Nera.
3)
Electro (che, è bene sottolinearlo, non
è l’avversario dell’Uomo Ragno) era un agente sovietico che affrontò il Capitan America
degli Anni 50 in Captain America Comics #78 datato settembre 1954 (In
Italia su Super-Eroi: Le Grandi saghe #22). Dovrebbe trattarsi di un umano
mutato, tale Ivan Kronov (Domanda: ma gli autori di comics degli anni 50 e 60
conoscevano altri nomi russi oltre Ivan, Boris e Igor? -_^)
4)
Madame X ha debuttato in Tales To
Astonish #36 datato dicembre 1962 in una storia di Ant Man come Compagno X in
quanto all’inizio della storia non si sapeva che fosse una donna, tra i suoi
talenti c’è l’arte del travestimento.
5)
Sandor, che dal nome sembra ungherese
anche se ama vestire alla marocchina, è apparso per la prima volta su Amazing
Spider man Annual #5 del 1968.
6)
Finisher, l’elegante killer flemmatico
ed implacabile è anche lui comparso per la prima volta nel citato Amazing
Spider man Annual #5 del 1968.
Nel
prossimo episodio: i primi passi di Bucky Barnes verso la guarigione… o almeno
lo si spera, una nuova minaccia all’orizzonte, un nuovo membro del gruppo e
molto altro.
Carlo
e Carmelo
[1] In seguito ad eventi narrati in Over the Edge Omega
(In Italia su Marvel Crossover #18)
[2] Su The Others #11/24.
[3] Jasper Sitwell, il Direttore dell’F.B.S.A.,
[4] Ovvero Strategic
Hazard Intervention Espionage Logistics Directorate l’agenzia
spionistica e di pronto intervento dell’O.N.U.
[5] Vedi Capitan America MIT #39/43.
[6] Nella serie Nomad.
[7] Come visto in Iron Man #45.
[8] In Capitan America MIT #43
[9] Voi potreste saperne di più se leggerete Nick Fury
MIT #4.
[10] Nello scorso episodio.